I cosiddetti “nuovi poveri” sono le persone che hanno casa, lavoro e famiglia, ma che non arrivano a fine mese. Una fascia sociale che le statistiche danno in crescita negli ultimi anni.
Povertà assoluta. Per l’Istat, una persona è considerata assolutamente povera se la sua spesa è inferiore o pari alla soglia assoluta, corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile (il valore della soglia si differenzia per dimensione e composizione per età della famiglia, per ripartizione geografica e ampiezza demografica del comune di residenza). Per fare un esempio: un adulto che vive solo, è considerato assolutamente povero, se la sua spesa nel 2012 è inferiore o pari a 641 euro mensili, nel caso risieda in un’area metropolitana del nord (558 in un piccolo comune), a 638 euro se risiede nel centro Italia (549 qualora viva in un piccolo comune) e a 448 euro nel sud (392 euro se risiede in un piccolo comune).
Povertà relativa. Per l’Istat, una persona viene detta relativamente povera se la sua spesa è inferiore o pari a una soglia, determinata annualmente rispetto alla spesa media mensile pro-capite per consumi delle famiglie italiane (cui si applica una scala di equivalenza relativa al numero di componenti della famiglia). Nel 2011 questa spesa è risultata pari a 1.011,03 euro mensili (nel 2010 per una famiglia di due componenti era pari a 992,46 euro, circa 9 euro in più rispetto alla soglia del 2009)
I cosiddetti 'esodati' sono una nuova categoria di ex lavoratori, comparsi improvvisamente sulla scena nazionale nel 2012, come conseguenza della riforma delle pensioni (riforma Fornero), attuata dal governo Monti, che ha spostato in avanti l'età per ritirarsi dall'attività lavorativa. Gli esodati, infatti, sono tutti quei lavoratori che, prossimi alla pensione, hanno aderito ad accordi individuali o collettivi di 'esodo' incentivato, lasciando il lavoro dietro corresponsione da parte della propria azienda di una somma di denaro (buonuscita-ponte), firmando il licenziamento o accettando di essere messi in mobilità. Una soluzione diffusa nell'imprenditoria italiana, dalle banche alle poste, presa come misura 'anti-crisi' che tuttavia, alla luce delle nuove disposizioni in merito all'età pensionabile, ha precipitato molte persone in una situazione drammatica. Gli esodati si sono ritrovati senza stipendio e senza pensione, senza la possibilità di ricevere per molti anni l'assegno mensile guadagnato con anni di contributi versati regolarmente. Un vero e proprio 'popolo': dopo una prima stima di circa 65 mila unità, il governo Monti ha riveduto i numeri al rialzo. L'Inps è arrivata a ipotizzare che gli esodati possano essere addirittura 350 mila. Persone che, in buona fede e molto spesso per fare un favore alle proprie aziende o per vedere assumere con un contratto part time il proprio figlio, hanno scelto di firmare degli accordi che possono rappresentare la loro rovina.
Spesso si fa confusione con l’utilizzo del più generale termine povertà, nuovi poveri, homeless. "Da qualche anno, quando si parla di senza dimora, ci viene automaticamente chiesto di parlare di nuovi poveri, come i padri separati, con l’idea che i nuovi senza dimora siano necessariamente i nuovi poveri. E in questo si fa un gran calderone - spiega Paolo Pezzana, presidente Fio.PSD (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora) - è vero ci sono situazioni inedite, ma i poveri non sono tanto nuovi, è povertà tradizionale, le categorie dei nuovi poveri stanno scivolando verso il basso. Uno dei concetti che cerchiamo di comunicare sempre è che non c’è ‘noi e loro’ e questo tema ci fa gioco".
Secondo Pezzana uno dei meccanismi classici che si attiva nel modo in cui i media trattano queste notizie è la creazione di una distanza, appunto di un muro fra 'noi e loro'. "Dietro lo stereotipo della scelta o della colpa dei senza dimora, c’è la chiara volontà, che è una forma di protezione comprensibile, di fare una barriera, cioè il pensiero che io non diventerò mai come loro- dice il presidente Fio.PSD- questo non è vero perché le storie delle persone che dormono per strada dimostrano chiaramente che loro erano come noi e noi potremmo diventare come loro".
Pezzana rimarca che il pubblico dei lettori "si sente più a rischio di diventare un nuovo povero, più che un senza dimora". I termini nuovi poveri, poveri, emarginati, grandi emarginati vengono spesso usati in modo intercambiabile ma non lo sono perché denotano situazioni differenti.
Una 'nuova' categoria è quella degli esodati: gli ex lavoratori nel limbo, in attesa che lo Stato restituisca loro quel diritto a percepire la pensione che con la riforma Fornero gli ha tolto. Il limbo e il 'tempo sospeso', l'essere invisibili, sono le associazioni più frequenti con questa parola. "Uscire dal tempo. Finire nel nulla - scrive Ilvo Diamanti su Repubblica.it - Come i "neet", acronimo inglese che richiama i giovani che "non" lavorano e "non" studiano. Ma non sono neppure coinvolti in percorsi di "formazione" e "apprendistato". I giovani né / né. Scomparsi, per le statistiche. Loro, almeno sono giovani. E dispongono di un acronimo inglese. Contrariamente agli "esodati". Che giovani non sono più da molto tempo. Ma neppure abbastanza vecchi per "meritare" la pensione". [1]
Essendosi 'dimessi' o 'licenziati' in attesa di prendere la pensione, hanno visto il tempo di questa attesa allungarsi di anni, a causa dei provvedimenti del governo Monti, chiamato nel 2011 a 'salvare' l'Italia dalla bancarotta, attraverso politiche di austerity, cioè di contrazione della spesa pubblica per far fronte alla difficile situazione economica. Secondo il rapporto Istat 2014, però, l'austerità ci è costata molto, in un perverso circolo vizioso. In altre parole l'Italia è riuscita, con fatica, a migliorare la situazione dei conti pubblici ma l’assenza di crescita ha finito per neutralizzare in parte i sacrifici.
Tra coloro che hanno pagato di più, proprio gli esodati. "Vengono (in)definiti con un termine inesistente sui dizionari della lingua italiana - scrive ancora Diamanti - Quanti, è oggetto di discussione, anzi, di conflitto aspro. Fra il governo e la ministra Fornero, da un lato, e il sindacato, dall'altro. Ma anche i dirigenti dell'INPS. Secondo i quali non si tratta di qualche decina di migliaia di (ex) lavoratori, come vorrebbe il ministro Fornero. Ma centinaia di migliaia. Oltre 350 mila. Esodati. Neologismo singolare e ruvido, all'orecchio..Gli "esodati" sono i participi passati di un verbo che non esiste nei dizionari. (Vi entrerà certamente, nelle prossime edizioni.) Esodare: deriva da "esodo". Migrazione di un popolo in fuga dalla persecuzione. In questo caso, si tratta di coloro che sono stati "spinti" fuori dal lavoro verso la pensione. E sono rimasti lì, sospesi. In attesa di un approdo che si è allontanato all'improvviso e in modo imprevisto...Un lemma del lessico burocratese. Gli esodati sono un popolo dai contorni in-definiti. Come chi ne fa parte. D'altronde, non si riesce a stimarli con certezza. Perché sono "esodati" in tempi diversi, da luoghi e contesti diversi. Insomma, sono sparsi, spersi e dispersi. Non dispongono di uno statuto né di una condizione comune. Per cui non hanno uno specchio nel quale riflettersi - tutti insieme. Un amplificatore attraverso cui far sentire le loro voci con una voce sola. Perché "non-sono". Sono dei Non. Dei Non-lavoratori. Dei Non-pensionati. Oppure dei né/né. Confinati nella Terra di Nessuno, dove nessuno ti vede, nessuno ti chiama. Visto che non hai un nome. Ma un non-nome. Sei il participio passato di un verbo che non esiste".[2]
[1] Diamanti I, Gli esodanti, www.repubblica.it, 13 giugno 2012
[2] Ibidem
Qui di seguito numerosi esempi dai quali si possono vedere gli elementi di base della narrazione giornalistica sul tema della povertà e degli esodati, vale a dire la cornice della disperazione e dell'invisibilità.
Per quanto riguarda i poveri, a tenere banco sono appunto 'i nuovi poveri' e il leit motiv è quello di un allarme sociale connotato da meccanismi di scrittura che tendono a fare identificare il lettore con quegli 'ex professioniti, imprenditori e artigiani' finiti sul lastrico a causa della crisi economica.
Mentre sugli esodati domina, anche a tre anni di distanza dall'esplosione del fenomeno, il caos sui numeri. Questa categoria di persone viene quasi sempre descritta come 'dai contorni indefiniti' e senza la possibilità di avere un quadro chiaro sulle cifre certe del 'popolo degli esodati'. Infine un ultimo articolo dà conto del rimpallo di responsabilità sul destino degli esodati, fra le imprese e il ministero del welfare.
I nuovi poveri? Cinquant'anni, ex professionisti, capi d'azienda e piccoli artigiani che hanno perso il lavoro
(edizione online di un quotidiano nazionale, 31 luglio 2012)
Cresce la disoccupazione in Italia, lo dice l'Istat, crescono i poveri, lo dicono osservatori e rapporti provenienti dai più disparati istituti di ricerca, cresce chi col lavoro perde tutto, anche la casa e il diritto di esistere. I nuovi poveri, quelli buttati in mezzo alla strada dalla crisi, senza nemmeno il paracadute di una famiglia che possa dare una mano, oggi sono ex manager, imprenditori e piccoli artigiani: tutti con un fallimento lavorativo e di vita alle spalle. Mai come in questo 2012 di crisi il detto dalle ‘stelle alle stalle' ha avuto più significato per questi ex professionisti, ex capi d'azienda (magari anche piccola), questi artigiani con il pallino degli affari che nel giro di pochi anni si sono trovati sprofondati nella miseria. Dal lusso delle case da rivista di architettura, alla stazione centrale dei treni di qualche città. Magari non la loro: perché a 50 anni (età media di queste persone) è ‘vergognoso' avere perso tutto e non trovare una possibilità di riscatto in un nuovo impiego. A inquadrare questo che ormai non è più un fenomeno spot, ma un allarme sociale spalmato su tutta l'Italia, è Avvocato di Strada, una Onlus che nata a Bologna nel 2000 oggi conta 700 avvocati volontari che operano in 29 province. "Quando abbiamo iniziato – spiega uno dei due fondatori dell'associazione, Antonio Mumolo – aiutavamo per lo più persone che in strada c'erano per problemi psichici, di dipendenze da droga o alcol. Oggi lo scenario è cambiato: abbiamo a che fare con gente che ha perduto il lavoro e con esso tutto il resto". E non si pensi all'extracomunitario che fatica ad inserirsi nel tessuto sociale italiano (realtà che pure c'è e rappresenta il 70% degli assistiti da Avvocato di Strada), no: nel 2012 i poveri sono quelli che non hanno più un lavoro. Strozzati dai debiti, con la banca che ha pignorato la casa, senza una famiglia che possa dare ospitalità e sostegno. Pieni di vergogna, schivi, uomini abituati a tenere in mano le redini di un'azienda oggi impossibilitati a tenere in piedi la loro vita. Difficile aiutarli. Come difficile è aiutare gli anziani, quelli che con la pensione minima non possono pagarsi l'affitto o, se ce la fanno, non hanno più un centesimo a disposizione per fare la spesa. "Sono tanti i pensionati che non arrivano alla fine del mese: si vergognano più di chiunque altro e accampano ogni tipo di scusa dicendo di non avere bisogno di nulla", aggiunge Mumolo. Ma poi se ne stanno per giorni sotto la pensilina di un autobus e allora cedono si lasciano aiutare, con la testa bassa. "Quelli che perdono la casa, non sono in tanti a saperlo – conclude il legale – perdono ogni diritto: senza una residenza non possono nemmeno ritirare la pensione, nemmeno cercare un lavoro". Per questo esistono le vie fittizie, strade inesistenti che il comune crea in cui i senza dimora che ne fanno richiesta risultano ‘risiedere'. Sono le vie Senzatetto, Senzanome, Senzacasa che si leggono sulle loro carte di identità. Strade che non si trovano sugli stradari e che i navigatori non indicheranno mai: non esistono ma sono affollate di umanità.
L’invisibile popolo dei nuovi poveri
(quotidiano nazionale, 12 dicembre 2013)
Torino è stata l’epicentro della cosiddetta “rivolta dei forconi”, almeno fino o ieri. [...] La prima impressione, superficiale, epidermica, fisiognomica – il colore e la foggia dei vestiti, l’espressione dei visi, il modo di muoversi -, è stata quella di una massa di poveri. Forse meglio: di “impoveriti”. Le tante facce della povertà, oggi. Soprattutto di quella nuova. Potremmo dire del ceto medio impoverito: gli indebitati, gli esodati, i falliti o sull’orlo del fallimento, piccoli commercianti strangolati dalle ingiunzioni a rientrare dallo scoperto, o già costretti alla chiusura, artigiani con le cartelle di equitalia e il fido tagliato, autotrasportatori, “padroncini”, con l’assicurazione in scadenza e senza i soldi per pagarla, disoccupati di lungo o di breve corso, ex muratori, ex manovali, ex impiegati, ex magazzinieri, ex titolari di partite iva divenute insostenibili, precari non rinnovati per la riforma Fornero, lavoratori a termine senza più termini, espulsi dai cantieri edili fermi, o dalle boite chiuse.[...] Come quando ci si ferma per un funerale. E si pensa «potrebbe toccare a me…». Loro alzavano il pollice – non l’indice, il pollice – come a dire «ci siamo ancora», dalle macchine qualcuno rispondeva con lo stesso gesto, e un sorriso mesto come a chiedere «fino a quando?». Altra comunicazione non c’era: la “piattaforma”, potremmo dire, il comun denominatore che li univa era esilissimo, ridotto all’osso. L’unico volantino che mostravano diceva «Siamo ITALIANI», a caratteri cubitali, «Fermiamo l’ITALIA». E l’unica frase che ripetevano era: «Non ce la facciamo più». Ecco, se un dato sociologico comunicavano era questo: erano quelli che non ce la fanno più. Eterogenei in tutto, folla solitaria per costituzione materiale, ma accomunati da quell’unico, terminale stato di emergenza. E da una viscerale, profonda, costitutiva, antropologica estraneità/ostilità alla politica. Non erano una scheggia di mondo politico virulentizzata. Erano un pezzo di società disgregata. E sarebbe un errore imperdonabile liquidare tutto questo come prodotto di una destra golpista o di un populismo radicale. C’erano, tra loro quelli di Forza nuova, certo che c’erano. Come c’erano gli ultras di entrambe le squadre. E i cultori della violenza per vocazione, o per frustrazione personale o sociale. C’era di tutto, perché quando un contenitore sociale si rompe e lascia fuoriuscire il proprio liquido infiammabile, gli incendiari vanno a nozze. Ma non è quella la cifra che spiega il fenomeno. Non s’innesca così una mobilitazione tanto ampia, diversificata, multiforme come quella che si è vista Torino. La domanda vera è chiedersi perché proprio qui si è materializzato questo “popolo” fino a ieri invisibile. E una protesta altrove puntiforme e selettiva ha assunto carattere di massa…
Anziani e disoccupati ladri per disperazione
Rubano carne e formaggio, spesso consumano il cibo nascosti tra gli scaffali. I furti hanno un'incidenza ancora minima, intorno al 15 per cento ma assicurano gli investigatori: "Trend in crescita, è un malessere sociale"
(edizione locale di un quotidiano nazionale, 29 maggio 2013)
Giuseppe ha infilato sotto la giacca logora quel tocco di Grana padano, guardandosi attorno con atteggiamento circospetto. Si è diretto a passo svelto verso le porte scorrevoli del supermercato, sfidando anche le telecamere di videosorveglianza. Uno degli impiegati lo ha fermato quando stava per conquistare l'uscita. "Con la mia pensione non ce la faccio ad arrivare nemmeno a metà mese - ha detto tra le lacrime l'anziano - e questo formaggio l'ho rubato per cenare". All'arrivo della polizia il titolare del supermercato gli ha risparmiato la denuncia, ma il Grana è ritornato sugli scaffali del market. È il copione che si ripete sempre più di frequente nei supermercati della città. Ladri per necessità, per fame, è la nuova categoria di "fuorilegge" che le forze dell'ordine hanno inserito nel prontuario dei nuovi reati. I furti hanno un'incidenza ancora minima, intorno al 15 per cento, sugli interventi di carabinieri e polizia, ma assicurano gli investigatori: "Il trend è in crescita e ormai questi episodi stanno assumendo le fattezze di un malessere sociale". [...]
Vivere con mille euro al mese le storie dei "nuovi poveri"
Fino a poco tempo fa conducevano una vita normale. Per un motivo o per un altro la crisi li ha investiti, cambiando radicalmente le loro abitudini e trasformando le loro esistenze. Dalla pensionata penalizzata dal cambio lira/euro, all'operaio che lavorava al Nord e trasferendosi si è ritrovato sottopagato, alla famiglia costretta a vivere in un magazzino perché il padre ha perso il lavoro e non ne trova uno. Un racconto per immagini e testimonianze delle nuove povertà.
(edizione online locale di un quotidiano nazionale, 29 maggio 2013)
Dossier, così cresce l'esercito dei nuovi poveri della Sanità
L'aumento della povertà non risparmia l’Emilia Romagna, a partire da Bologna. Negli ultimi 10 anni è lievitato del 27% il numero delle persone che non può permettersi l'acquisto dei medicinali. Dato che solo in città schizza all’80%. È quanto emerge dall'indagine della Fondazione Banco Farmaceutico onlus
(edizione online di un quotidiano nazionale, 23 agosto 2013)
La crescita della povertà non risparmia nemmeno l’Emilia Romagna. E a sentirne gli effetti negativi sono le principali città, a partire da Bologna. Ne è prova l’aumento delle fasce sociali meno abbienti che non possono acquistare medicinali ed incrementano quella nuova forma di sofferenza chiamata “povertà sanitaria”, che negli ultimi 10 anni in Emilia Romagna è lievitata del 27 per cento. Dato che nella sola Bologna schizza all’80 per cento, quasi a certificare la tragica profezia che nel 1985 l’allora arcivescovo bolognese, il cardinale Giacomo Biffi, parlò di “Bologna città sazia e disperata”. Espressione ripresa recentemente dal successore, il cardinale Carlo Caffarra, con un “aggiustamento” ancora più preoccupante (“Bologna meno sazia, ma più disperata”). È quanto emerge dal dossier su poveri, sanità e medicine realizzato in Emilia Romagna dalla Fondazione Banco Farmaceutico onlus. I risultati analizzati sono quelli che ogni anno vengono contabilizzati in occasione della giornata nazionale della raccolta farmaci da distribuire gratuitamente a poveri e bisognosi.[...]
Crisi, Caritas: i separati e i divorziati sono i nuovi poveri
Allarmanti i dati del 'Rapporto 2014 ': dopo la rottura dei rapporti coniugali, il 66% di chi chiede aiuto dichiara di non riuscire a provvedere all'acquisto dei beni di prima necessità. Sono perlopiù italiani, divisi equamente tra uomini e donne
(edizione online di un quotidiano nazionale, 30 marzo 2014)
Separati e divorziati: ecco i nuovi poveri
Secondo il Rapporto 2014 della Caritas, il 66,1% dei separati che chiedono aiuto dichiarano di non riuscire a provvedere all’acquisto dei beni di prima necessità
(edizione online di un quotidiano nazionale, 30 marzo 2014)
PREVIDENZA
I veri numeri sul caso esodati
Solo uno su tre ha ricevuto l’assegno
Su 130 mila stimati, accolte 80 mila domande. Finora erogate 27 mila pensioni. L’Inps: pagamento dovuto dopo la mobilità
(edizione online di un quotidiano nazionale, 2 gennaio 2014)
Con il richiamo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che nel messaggio di fine anno ha voluto richiamare anche la loro condizione tra quelle di sofferenza sociale, gli «esodati» si affacciano da protagonisti anche sul 2014. A rigore, si tratterebbe dei lavoratori che hanno perso il posto o si sono licenziati in vista della pensione che sarebbe scattata per loro nel 2012, ma si sono ritrovati improvvisamente con la riforma Fornero che ha cambiato le carte in tavola, in molti casi rinviando di parecchi anni l’appuntamento con l’assegno previdenziale. Senza più lavoro e con la pensione diventata di colpo un miraggio, gli esodati hanno da allora riempito le cronache.
UN PASTICCIO INFINITO - Prima con l’esplosione di migliaia di storie drammatiche di persone senza più alcun reddito. Poi con le prime mosse del governo che cercò di capire quanti fossero gli esodati, ma senza arrivare a una parola chiara, con l’Inps che a un certo punto (giugno 2012) aveva stimato in 390 mila le persone a rischio, ma poi fu costretto dal governo a rimangiarsi l’allarme. Infine con i primi provvedimenti legislativi per correre ai ripari. Sono 5 gli interventi di «salvaguardia» presi negli ultimi due anni, incluso quello contenuto nella legge di Stabilità approvata prima di Natale. Consentono tutti di andare in pensione con le regole in vigore fino al 31 dicembre 2011, cioè prima della riforma Fornero, a chi ha determinati requisiti. Si è così costruito nel tempo un sistema complesso di regole a maglie sempre più larghe: dai lavoratori in mobilità a quelli che si erano licenziati, cioè dagli esodati in senso stretto a categorie assimilate, come i contributori volontari, persone che pur non lavorando più avevano scelto di proseguire la contribuzione all’Inps per andare in pensione, fino a comprendere, con l’ultima legge di Stabilità, anche i lavoratori che si sono licenziati prima del 2012 e poi hanno ripreso a lavorare (purché non a tempo indeterminato) anche se dovessero guadagnare bene (finora per questi c’era un tetto di 7.500 euro l’anno). Un sistema sempre più complicato, quindi, dove magari qualche poveraccio resta fuori da ogni tutela e altri sono fin troppo protetti. E come se non bastasse, l’attuazione di questi provvedimenti procede molto a rilento.
SOLO 27 MILA IN PENSIONE - L’iter è estremamente complesso: si parte con la legge, poi c’è il decreto ministeriale attuativo, quindi la circolare Inps. Nel frattempo passano parecchi mesi. Quando finalmente tutto è pronto, la domanda va presentata alla direzione territoriale del ministero del Lavoro , che fa una prima verifica, e poi la passa all’Inps per tutta l’istruttoria del caso. Finora solo la prima salvaguardia, decisa a metà del 2012, cioè un anno e mezzo fa, può ritenersi conclusa. Per la seconda e la terza, anche se i termini di presentazione delle domande sono scaduti da tempo (21 maggio e 25 settembre 2013), l’esame delle pratiche è ancora in corso. Secondo un monitoraggio dell’Inps aggiornato al 13 dicembre scorso, la situazione è la seguente. Le prime 3 salvaguardie erano state varate per mandare in pensione complessivamente 130 mila persone, le domande accolte finora perché con i requisiti in ordine sono quasi 80 mila e le pensioni in pagamento meno di 27 mila. Insomma, solo uno su tre col diritto certificato alla pensione sta incassando l’assegno. Come mai? E come mai ci sono 50 mila domande in meno del previsto? Certamente sullo scarto tra platea stimata e domande accolte pesano le lungaggini procedurali e qualche calcolo sbagliato: per esempio, con la seconda salvaguardia si volevano tutelare 40 mila lavoratori in mobilità, ma le certificazioni finora inviate sono solo 5.432. Probabile quindi che ci sia stata una sovrastima di questa categoria. Sulle poche pensioni liquidate, invece, ci sono anche altre spiegazioni. Dice il direttore generale dell’Inps, Mauro Nori: «La differenza maggiore tra diritto certificato ed erogazione della pensione l’abbiamo sui lavoratori in mobilità. In molti casi queste persone resteranno ancora per anni con il sussidio previsto e la pensione scatterà solo dopo. Quindi anche se hanno il diritto certificato, l’assegno non poteva essere già messo in liquidazione». Gli esodati, dunque, ci accompagneranno ancora per molti anni.
UNA SPESA DI 11,5 MILIARDI - Del resto, ai 130 mila potenziali beneficiari delle prime tre salvaguardie ne vanno aggiunti 9 mila della quarta decisa lo scorso agosto, che potranno presentare domanda fino al 26 febbraio 2014, e altri 17 mila previsti dalla legge di Stabilità, per un totale che supera le 156 mila unità. Con un costo davvero pesante: circa 11 miliardi e mezzo in nove anni, dal 2012 al 2020, che dovranno essere spesi per pagare pensioni che altrimenti (applicando i requisiti dalla riforma Fornero) non si sarebbero pagate. E che la storia degli esodati si esaurisca con la quinta salvaguardia è davvero improbabile.
Pensioni, quattro esodati su cinque attendono ancora l'assegno
(edizione online di un quotidiano nazionale, 9 febbraio 2014)
Uno su cinque. Gli esodati che hanno effettivamente ottenuto la liqudazione della pensione sono 33.147 a fronte di 162.147 posizioni salvaguardate con cinque differenti provvedimenti. A riportarlo è l'agenzia di stampa Adnkronos in base a un rapporto dell'Inps sulle operazioni di salvaguardia che fa il punto della situazione al 20 gennaio scorso. Le posizioni certificate dall'Inps alla data del 20 gennaio sono nel complesso 82.458 di cui 62.383 relative alla prima salvaguardia che prevede la copertura di 65mila posizioni, 14.450 alla seconda salvaguardia, che prevede 55mila coperture e 5.625 alla terza che prevede 10.130 coperture. In relazione alle ultime due salvaguardie per 32mila coperture complessive il rapporto precisa che per la quarta relativa a 9mila coperture è in corso la presentazione delle domande alle direzioni territoriali del lavoro delle istanze degli interessati con termini di scadenza fissati al 26 e 27 febbraio a seconda della categoria di appartenenza. Le attività di certificazione - si legge nel rapporto - saranno concluse entro giugno 2014. Per la quinta salvaguardia relativa a 23mila posizioni deve ancora essere pubblicato il decreto interministeriale di attuazione. Si prevede comunque che le attività di certificazione saranno concluse entro il 2014.
Tipologia e provenienza. Il rapporto analizza nel dettaglio la tipologia dei lavoratori salvaguardati e il relativo anno di decorernza della pensione limitatamente alle 82.458 posizioni certificate, di cui 33.147 già liquidate. Nel dettaglio quanto all'anno di decorrenza nel 2013 sono stati certificati 35.594 esodati, nel 2014 sono previsti 23.294, nel 2015 altri 13.488. A seguire 5.902 andranno in pensione nel 2016, mentre 2.474 nel 2017. Tra i già certificati ve ne sono 76 che andranno in pensione nel 2020, 7 nel 2021 e uno addirittura nel 2022. Quanto alla provenienza degli esodati già certificati la gran parte (35.139) vengono dalla mobilità ordinaria, seguono i lavoratori dei fondi di di solidarietà con 18.795 esodati, i prosecutori volontari con 16.741 esodati, il lavoratori cessati con 7.180 esodati, la mobilità lunga con 3.202 esodati, gli esonerati con 1.226 esonerati, i congedati per assistenza figli con 98 esodati e i prosecutori volontari dopo la mobilità con 77 esodati. Le soluzioni allo studio Il tema degli esodati resta comunque all'attenzione del Parlamento. Al di là del lavoro di ricognizione fatto dall'Inps restano delle posizioni che la riforma Fornero ha lasciato senza lavoro e senza pensione. La commissione lavoro della Camera ha formulato un'ipotesi di soluzione condivisa da tutti i partiti e la presidente della Camera Laura Boldrini ha annunciato che il testo proposto dalla commissione sarà esaminato dalll'aula entro il mese di marzo. «Rispetto ai primi tre contingenti salvaguardati che ammontano a 130mila esodati -afferma il presidente della commissione lavoro Cesare Damiano all'Adnkronos- sono state liquidate 33mila pensioni. C'è una sproporzione. Perciò abbiamo chiesto all'Inps un monitoraggio costante con una relazione trimestrale. Intanto la commissione ha formulato una proposta che affronta in modo risolutivo il problema eliminando alcuni paletti della riforma eaggiustando alcune date. Viene così consentito a chi ha maturato i requisiti di andare in pensione con le regole precedenti alla riforma Fornero. A questo punto -conclude l'auspicio è che il governo ci metta le risorse necessarie e che tutto il Parlamento faccia propria la proposta della commissione che non riguarda nuove famiglie di esodati da salvare ma interviene con criteri generali e omogenei per risolvere definitivamente il problema».
Confindustria replica al ministro Fornero sugli esodati: la colpa è di chi ha cambiato le regole in corsa
(edizione online di un quotidiano nazionale, 14 aprile 2012)
Secondo Confindustria le dichiarazioni del Ministro Elsa Fornero per cui «gli esodati li creano le imprese che mandano fuori i dipendenti a carico del sistema pensionistico pubblico e della collettività» destano sorpresa e sgomento. La nota di Confindustria Queste parole danno una rappresentazione del mondo delle imprese che non solo non trova riscontro nella realtà, ma è anche offensiva. Le imprese quando riducono il personale lo fanno solo per necessità. Quanto poi ai costi del nostro sistema di welfare, Confindustria ha già avuto modo di documentare al Ministro, proprio in occasione degli incontri per la riforma del mercato del lavoro, l'importante onere economico che le imprese sostengono per pagarsi gli ammortizzatori sociali. Se in un periodo di profonda crisi si cambiano le regole «in corsa», è responsabilità di chi decide di cambiare le regole, prevederne le conseguenze. Se non lo si fa, non si può imputare alle imprese alcuna colpa. Né si possono mettere in discussione gli accordi che, nel pieno rispetto delle leggi, imprese e sindacati hanno stipulato per attenuare gli impatti sociali derivanti dalla crisi. L'aver limitato l'applicazione del precedente regime previdenziale solo ad alcuni soggetti, senza darsi pensiero di tutti i lavoratori coinvolti nelle procedure di mobilità, è stata una scelta del legislatore, non certo delle imprese. Ora si tratta di trovare le risorse economiche per affrontare la questione e mettere la parola fine a quel balletto di numeri cui assistiamo in questi giorni. Con estrema chiarezza si deve dire che non si tratta di una concessione rispetto alle legittime sollecitazioni che giungono da lavoratori, organizzazioni sindacali e imprese, bensì di un atto dovuto. Il Ministro non ha necessità di individuare alcuna nuova soluzione normativa, visto che la riforma delle pensioni del dicembre scorso ha già affrontato e risolto la questione, prevedendo l'applicazione dei vecchi requisiti pensionistici «ai lavoratori collocati in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, numero 223, e successive modificazioni, sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011 e che maturano i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità». Assicuri quindi, il Ministro, la salvaguardia già concessa.